Gli eremi di San Bartolomeo e di Santo Spirito a Majella

Quando la Majella si fa mistica


Ieri la salita al Focalone, cercando di anticipare il maltempo, così insolito per questi primi giorni di Agosto quanto annunciato da tutte le Sibille meteorologiche; l’oggi era in balia dell’arrivo della perturbazione. La notte è passata con un occhio aperto ed uno chiuso in attesa di tuoni, vento e le prime gocce di pioggia che non ci sono state, poi si è fatto giorno, dalla finestra della piccola stanza del nostro B&B di Decontra un triangolo di cielo appena visibile non era rassicurante ma nemmeno prometteva che si aprissero da un momento all’altro le cataratte del cielo. Scendiamo per far colazione, una certa variabilità era nell’aria ma nulla faceva pensare alle nefaste previsioni, che si fossero sbagliati? Colazioniamo in fretta e decidiamo di muoverci subito; l’escursione di oggi l’avevamo prevista defaticante e breve proprio per cercare di poterci infilare nella più piccola finestra di bel tempo che ci sarebbe stata concessa. Obiettivo l’Eremo di San Bartolomeo nel vallone omonimo, una breve escursione da qualsiasi punto lo si prenda, e l’Eremo di Santo Spirito, questo raggiungibile anche in auto e credo che diversamente per la giornata di oggi non poteva essere. Un sentiero che parte da Decontra in un paio d’ore, forse meno, permette di raggiungere San Bartolomeo, probabilmente è il modo più bello ed interessante per raggiungerlo, ma oggi la variabile tempo non giocava a nostro favore, ci siamo avvicinati in auto. Raggiungiamo Roccamorice, lo oltrepassiamo e continuiamo a salire per Fonte Tettone-Blockhaus, lungo la strada non mancano i cartelli, dopo circa 4 km si tiene la destra seguendo la segnaletica per l’Eremo di Santo Spirito-Eremo di San Bartolomeo. Si prende quindi un ulteriore bivio verso destra seguendo sempre la segnaletica per Eremo di San Bartolomeo. Parcheggiamo nei pressi del ristorante Macchie di Coco. Il sentiero, ben segnalato, si allunga sulla sinistra in mezzo ad alte ginestre, siamo lontani dalle grandi montagne della Majella, intorno rovi, querce, campi coltivati che si litigano lo spazio con i rovi; il sentiero è pulito e ben curato, non può essere diversamente vista la meta distante non più di una quarantina di minuti e vista la frequentazioni assidue di escursionisti e pellegrini. Si abbandona la prima ampia traccia per prenderne più avanti un’altra sempre sulla sinistra, una croce ed una segnaletica proibiscono di sbagliare, questa volta sono alte felci che fanno da bordura lungo il sentiero. Quando questo inizia a scendere con qualche svolta un po’ più rocciosa il panorama si apre sul vallone sottostante e sugli speroni aggettanti. Ulteriore croce ed ulteriore palina fanno deviare sulla sinistra, di traverso e alti sopra il fosso, si sfila sotto pareti più ripide miste ad erba, si supera uno sperone a picco sul fosso fin quando una scalinata ripida che si infila in un foro scavato sulla roccia non annuncia l’eremo. Alla base della scalinata, superato il breve tunnel scalpellato si entra nella terrazza prospiciente l’Eremo. Al termine della terrazza sorge il piccolo edificio principale della costruzione, sempre aperto e visitabile. L’Eremo è composto da tre distinti locali. La chiesetta vera e propria, una sorta di disimpegno, e una stanzetta dove presumibilmente vivevano gli eremiti dotata di camino. Oltre un cunicolo esce su una terrazza non protetta e a picco sul fosso. La terrazza di acceso all’eremo è protetta da un muro in pietra verso il lato del fosso e sopra dal soffitto della lunga grotta in cui tutto il complesso è incassato; sul muro di cinta si apre una doppia scalinata, entrambe molto ripide che permettono di scendere fino al torrente sottostante. Già visibile dall’alto una volta raggiunto il greto del fosso ci troviamo davanti il famoso grosso blocco squadrato di roccia che funge da ponte naturale verso il versante opposto. Deviando sulla destra si scende il greto del torrente con le caratteristiche lisce pignatte scavate dall’acqua, continuando fin dove le rive sono vicine tanto da poterle attraversare si incontra la sorgente di San Bartolomeo, detta Fonte Catenacce dall’incisione simile ad un catenaccio di porta che si trova lì accanto. Alla sorgente sono attribuite proprietà miracolose, ma l’acqua scarseggia per cui oggi l’unico miracolo che possiamo chiedere è che ci venga risparmiata la pioggia. Girovago sul letto del fiume, salgo leggermente sul lato opposto dove è possibile godere della vista d’assieme dell’eremo, il caratteristico profilo a sbalzo incassato sulla parete rocciosa. L’eremo ha origini antichissime, probabilmente precedenti all’anno Mille. Attorno al 1250 Pietro da Morrone, futuro Papa Celestino V, lo ricostruì e lo utilizzò molto spesso. Gli affreschi sopra il portale d’ingresso risalirebbero a questo periodo. Il 25 agosto si svolge tuttora una solenne processione in cui la statua del santo viene portata in braccio. Nei pressi, a fianco dell’eremo, alcune delle grotte che si affacciano sul vallone portano ancora delle testimonianze dell’antichissima presenza dell’uomo. Le selci di cui alcuni strati di questa montagna sono composti sembrerebbe siano serviti come primordiali oggetti per tagliare e cacciare gli animali, le punte di frecce di scolastica memoria. Avevo detto che dalla Fonte Catenacce non ci si potevano aspettare miracoli ed infatti inizia a piovere, poco, qualche goccia, prendiamo a risalire, il percorso è breve, magari la sfanghiamo. Salita la prima rampa, all’altezza della croce i gusci diventano inevitabili, piove da bagnarsi ben bene; ma anche se nuvoloso e perturbato è sempre un clima agostano, la pioggia fa aumentare l’umidità e ben presto siamo più bagnati per il sudore che per la pioggia tanto da indugiare se rispogliarsi e continuare a camminare su una refrigerante e tutto sommato benevola pioggia. Il dubbio dura poco, smette quando siamo sotto le rade querce, nei pressi ormai dell’auto. I timori erano fondati, la giornata era a rischio e giusta è stata la decisione di prendere l’auto e di raggiungere l’eremo da questo versante. Riprendiamo l’automobile e raggiungiamo la strada asfaltata, giriamo a destra, si sfila sotto le famose palestre di arrampicata di Roccamorice e ci si inoltra all’interno del magnifico bosco del vallone di Santo Spirito, sulla carte questa zona porta il toponimo di Macchia di Abbateggio. La strada a tratti è stretta e ripida, ma sempre ben tenuta, attorno ai 1000 metri sulla destra paline segnaletiche dei sentieri indicano la direzione per l’eremo di san Bartolomeo e il paesino di Decontra. Nemmeno un chilometro più su, a quota 1130 mt termina il nastro di strada asfaltato, una sbarra la chiude e da li inizia il sentiero che si inerpica a Fonte Tettone e al Bockhaus; sulla sinistra una svolta a gomito fa apparire improvvisamente l’Eremo di Santo Spirito a Majella. L’edificio ha un primo impatto visivo dirompente e mistico. Un lungo viale lastricato ed alberato inquadrano l’insieme dell’eremo incastonato nella roccia. Ai lati del viale, sotto la parete della montagna sgorgano due fontane d’acqua fresca che rompono il silenzio mistico. Nel profondo della valle se si fa attenzione si riesce a sentire lo scorrere del fiume. L’eremo non si presenta come quelli che siamo abituati a vedere in Majella, diroccati e minimalisti, una bella facciata con un portale importante ed una porta in legno scolpita a mano invita ad entrare nella piccola chiesetta semplice e suggestiva composta da un’unica navata; la chiesetta è di un periodo più tardo rispetto alla struttura del complesso che sta alle sue spalle, è stata costruita solo alla fine del cinquecento dal monaco Pietro Santucci da Manfredonia. Un cancello lateralmente alla chiesa, è l’ingresso al complesso che è a pagamento (veramente esiguo è il costo, un peccato mortale non continuare la visita); tramite un grosso cunicolo delimitato dalla volta della montagna e dalla parete della chiesa, si accede alla parte posteriore del fabbricato disposta su tre piani; diversi e vari sono gli ambienti che si scoprono in una lenta e silenziosa passeggiata verticale: una cripta, la vecchia sagrestia, i ruderi dell’antica abbazia, vari camminamenti scalpellati nella roccia, la scala Santa, una ripida scalinata all’interno della roccia per arrivare all’oratorio della Maddalena dove si ha una vista della valle molto suggestiva, un paio di verzieri, cioè gli antichi orti che servivano al sostentamento immediato della comunità dei monaci. Lontano dagli eremi minimalisti si tratta di una vera città del culto antico, una città verticale che si è andata ampliando nei secoli. Le prime notizie storiche sull’Eremo di Santo Spirito a Majella risalgono al 1.053 quando il futuro Papa Vittore III vi dimorò insieme ad altri Eremiti. Il connubio di storia e leggenda vuole che sia Pietro da Morrone, sempre lui, il vero fondatore dell’Eremo; vi arrivò nel 1246 e lo ampliò e ristrutturò costruendo, nel corso degli anni, altri locali adibiti agli eremiti che si aggiungevano alla comunità. Nel 1263-1264, l’eremo di S. Spirito della Maiella riceve la consacrazione e protezione apostolica da Urbano IV e viene incorporato all’Ordine di S. Benedetto. Dal 1275 al 1293 diventa la “casa madre” dell’Ordine di S. Spirito della Maiella (poi Ordine dei Celestini). Poco dopo però l’ascesa del complesso eremitico ha avuto un improvviso fermo arrivando anche ad un lungo declino fino al 1586 quando ottenne il titolo di Badia con il monaco Pietro Santucci da Manfredonia che portò ulteriori ampliamenti al complesso costruendo la già citata chiesetta e la scala Santa che conduce all’oratorio di Santa Maria Maddalena. Che il tempo in questo luogo sembra essersi fermato è testimoniato dalla citazione del Petrarca nella sua opera “De Vita” che descrive l’eremo come luogo solitario, adatto all’ascesi spirituale; non a caso, ai piani superiori, nel lato verso la valle si stanno terminando lavori di adattamento dei locali per far diventare alcune stanze luoghi di ritiro spirituale, segno che i secoli passano ma che la Majella conserva intatto il suo fascino isolato. Viene definitivamente abbandonato quando nel 1807 viene soppresso l’ordine dei Celestini. Ciò che unisce gli eremi che abbiamo visitato oggi è certamente l’isolamento e quel silenzio che inducono al raccoglimento, quell’alone di mistero che aleggia intorno all’eremitaggio della prima metà dello scorso millennio e la natura sconfinatamente bella e silenziosa che gli fa da contorno. Pietro Angelerio detto Pietro da Morrone, è però il vero anello di congiunzione di questi complessi, l’instancabile monaco eremita asceso a più alte cariche della chiesa, suo malgrado, ha peregrinato su queste montagne, ha fondato o ampliato diversi complessi eremitici, ha confortato e aiutato le popolazioni montane ed ancora oggi, nelle tradizioni e devozioni locali il suo spirito aleggia forte e indisturbato. Il sentiero S (sentiero dello Spirito) unisce l’eremo di San Bartolomeo e quello di Santo Spirito percorrendo la valle di S. Spirito e attraversando la folta Macchia di Abbateggio; per chi ha buone gambe e suggestive intenzioni spirituali il sentiero S dopo essere risceso in valle si inoltra verso Pianagrande a raggiungere l’eremo di San Giovanni forse il più isolato di tutti. Lo spicchio di Majella, tra le cittadine di Caramanico e Roccamorice e le alte vette della Majelletta regala suggestivi itinerari e scorci unici, eremi e valli isolate, quella dell’Orfento è un vero paradiso; Decontra, un piccolo agglomerato di case a picco sul vallone dell’Orfento e dominato dal Pescofalcone è un gioiello con un affaccio sulla montagna madre unico; avremo modo di pensare a tutto questo, ci attende, un pomeriggio probabilmente piovoso che ci regalerà riflessioni intime e affascinanti su luoghi visitati questa mattina. Le poche cibarie che ci siamo portati non ci hanno soddisfatto, i tempi del misticismo sono lunghi e silenziosi, il pranzo è stato praticamente saltato; ci concediamo un tardo aperitivo a Caramanico prima di isolarci a Decontra e approfittiamo anche per una breve visita del paese, sotto l’ombrello a causa delle prime gocce di pioggia, un bel modo per terminare la giornata escursionistica. Il tempo di entrare in un bar e le cataratte del cielo si aprono, il cielo si chiude e la pioggia diventa torrenziale, la perturbazione annunciata alla fine è arrivata e secondo le previsioni dovrebbe anche persistere alcuni giorni, la scelta prudente di stamane di non avventurarci per sentieri ha ripagato, non avremo goduto per intero dei sentieri dello Spirito ma ci è stata concessa la doppia visita. Temiamo che i nostri quattro giorni in Majella stiano per essere compromessi. Saliamo a Decontra e non riusciamo a scendere dall’auto, per non farci notte dopo una quindicina di minuti decidiamo di osare i centocinquanta metri che ci dividono dalla stanza. Nonostante i gusci e l’ombrello non riusciamo a mitigare i danni, entriamo in casa zuppi come pulcini, una doccia e un pigro pomeriggio sono l’inevitabile proseguimento (non troppo spiacevole) della giornata. Domani ci dovrebbe attendere l’eremo di San Giovanni o la valle dell’Orfento ma le cose si sono messe male, non vogliamo pensarci e pensiamo solo a concentraci sulle grandi prospettive della cena in agriturismo.